Questo viaggio alle Isole Cook è davvero un viaggio a ritroso nel tempo. Tutto scorre più lentamente e penso che dopo l’ultimo mese in Nuova Zelanda, passando la maggiorparte di tempo on the road, avevo proprio bisogno di rallenare nuovamente i miei ritmi e vivere con semplicità connettendomi ancora una volta alla natura.
Natura che si può rivelare selvaggia, come negli ultimi giorni di “tempesta tropicale”, così ci avevano detto, che si è rivelata la coda del cyclone Mike con venti fino a centoquaranta chilometri orari. Lo sapevamo che poteva esserci la variante tempo legata alla nostra decisione di venire alla fine della stagione dei cicloni: fine gennaio fine marzo. Quindi vi consiglierei un viaggio in questo paradiso in estate, la nostra intendo, ma anche fino ai primi di gennaio non dovrebbe essere male, e l’idea di passare magari Natale e Capodanno in queste isole dall’acqua cristallina non pensate che sia quasi un’immagine da sogno?
Sia io che Kim non è che ci preoccupiamo più di tanto per le condizioni meteorologiche, abiutati a vivere a contatto col mare o l’oceano 365 giorni l’anno. Quindi l’abbiamo presa con filosofia e siamo rimasti buoni buoni nel nostro bungalow di legno a leggere tutto il giorno e a suonare l’ukulele ogni tanto. Ci siamo decisi ad uscire nel tardo pomeriggio quando la tempesta era passata. E siamo andati in giro per l’isola per verificare i danni provocati dal forte vento e la pioggia torrenziale: “non piove mai ad Aitutaki” ci avevano detto. Quindi ritenetevi fortunati quando deciderete di venire in vacanza qua, perchè ci siamo presi la pioggia anche per voi.
Qualche albero abbattutto, un paio di tettoie scoperchiate, e un sacco di frutta per terra: quanti manghi e noci di cocco. E abbiamo notato diversi local in missione speciale con scooter e bidone di plastica bianco per la raccolta a bordo strada. Noi avevamo ancora quelli del giorni prima e abbiamo deciso di non preoccuparcene, tanto ce n’è sempre in abbondanza.
Nonostante sono tutti molto rilassati, ci siamo invece stupiti della operatività dopo tempesta: la mattina seguente tutta la comunità del l’isola al lavoro, e in qualche ore tutto era pulito come prima o anche meglio. Fuocherelli sparsi per pulire il fogliame, cocchi accatastati e in gruppi di persone per sistemare questa e quell’altra cosa.
Ieri invece ci siamo lanciati nella nostra prima vera avventura sull’isola. Due kayak, maschere, pinne, fucile da pesca e il nostro inseparabile stecco per il cocco, abbiamo lasciato l’isola maggiore in espolarazione per la parte sud est dell’atollo. Il tempo bello ma il vento era ancora di una certa intensità nonostante si sia ridotto notevolmente rispetto a ieri.
Ci allontaniamo consapevoli che al ritorno avremmo vento contrario, ma pensiamo di sfruttare di volta in volta il lato meno esposto degli isolotti che costeggeremo per risalire verso la nostra base.
È davvero divertente lasciarsi trasportare dalla corrente e dal vento. Fluttuiamo sull’acqua turchese fino a quando non raggiungiamo la seconda isola a distanza dalla nostra e ci infiliamo nella laguna dove l’acqua è più calma e siamo a riparo dal vento. Solo ora ci rendiamo conto di quanto il sole sia forte e di quanto caldo faccia.
Kim mi chiede se abbiamo acqua da bere “mezza bottiglietta”, rispondo. Ridiamo! La prima cosa che bisogna assicurarsi di portare in qualsiasi tipo di escursione tutti sanno che è l’acqua da bere. A meno che non si è sicuri di trovarla lungo il cammino. Nessun problema, tutto sotto controllo e indico un paio di palme da cocco quasi a riva a ridosso di una micro spiaggetta, non più larga di sei-sette metri e non più profonda di quattro. Tutt’attorno la vegetazione selvaggia fa da padrona.
Tiriamo le canoe in secca e usando la pagaia di Kim tiro giù la prima noce. “Perchè proprio la mia pagaia?!” escama lui. Rido, rispondendo che era la più vicina. Entrambi ricordiamo il piccolo incidente in cui mi sono imbattuto il primo giorno quando mi si è rotta una pala della pagaia. Non sarebbe né facile né divertente dover tornare con mezza pagaia stavolta, tantomeno forse impossibile data l’intensità del vento in mare.
Oramasi siamo quasi esperti. Apriamo due cocchi uno più maturo e l’altro più verde. Ne beviamo entrambi i contenuti e mangiamo un buona parte della polpa. Uno molto è più fresco e l’altro più simile a quelli che si trovano anche in Italia, e conserviamo il resto per dopo.
Prima di ripartire Kim si cosparge di una crema solare speciale che ci hanno dato da testare. Speciale perchè nelle sue varie formulazioni, non solo è fatta di soli ingredienti naturali, senza parabeni, senza allergeni, profumi e nanoparticelle, senza PEG o filtri chimici, ma con una formulazione speciale di filtri naturali studiati appositamente per non avere conseguenze nocive sul corallo. Ora non so se molti di voi lo sappiano, ma tutte le creme solari non naturali, sono davvero nocive per la vita dei coralli. Personalmente non faccio uso di creme se non naturali. La maggiore protezione la cerco negli altimenti ricchi di antiossidanti e betacarotene di cui mi nutro spesso. Però quando aumento le ore di esposizione al sole, cerco di usare creme naturali per non inquinare l’ambiente circostante e perchè ho scoperto che tutto quello che ti metti sulla pella viene assorbito dall’organismo come se lo mangiassi tanto è vero che molti rimedi di medicina cinese, per esempio, avvengo per via trandermica, quindi di applicazione sulla pella. Ad ogno modo penso che sia doveroso procurarsi prodotti del genere quando soprattutto si decidere per una vacanza in luoghi dove la barriera corallina è l’elemento vitale del luogo. Questa crema che stiamo usando si chiama Evoa è garantita 100% naturale, ha il supporto di Surfrider Fondation Europa, e l’1% del ricavato viene devoluto ad un’altra iniziativa che si chiama 1% for the planet. Non so se sia disponibile anche in Italia ma il loro sito è evoa-cosmetics.com
Addentrandoci nella laguna arriviamo fino a un passaggio stretto in poca acqua. Al di là un’altro pezzo di laguna che separa l’isola dalla barriera corrallina. Mentre osservo la corrente cambiare direzione mi infilo tra le magrovie mentre Kim si è tuffato con la maschera per vedere se è il caso di procurarsi la cena lì o proseguire. Dopo poco lo vedo arrivare e mi dice che ci sono solo pesci piccoli, quindi mentre cerco di comunicargli come funziona il passaggio lui ci è già dentro. Mannaggia agli australiani, sempre incuranti del pericolo :)! non ho scelta e mi ritrovo a seguirlo. Veniamo risucchiati tra gli scogli affioranti che evitiamo con maestria e molta fortuna. Ci ritroviamo in un tratto di mare non proprio tranquillo. Vero che c’è ancora la barriera che ci divide dal mare aperto ma in quelle condizioni di tempo non rischierei. Procediamo cautamente verso sud anche se dopo poco, per via della forte corrente e del fatto che vorremmo evitare di essere trascinati sulla barriera e verso le onde con i kayak (saremmo decisamente più a nostro agio sulle tavole da surf), decidiamo che è il caso di abbondonare l’idea e tornare indietro.
Raggiunto il varco tra le due isole, aspettiamo la corrente giusta e veniamo risucchiati all’interno della laguna sempre facendo slalom tra pezzi di reef affiorante.
Ora la nostra missione è risalire controvento costeggiando la prima isola e attraversare il canale che ci separa da quella più vicina alla nostra. Vento in faccia cerchiamo di risalire diagolmente verso nord-est quando il vento arriva da nord-ovest. Non so quanto ci impieghiamo, ma scegliendo varie traiettoie e allontanaci di diverse centinaia di metri riusciamo entrambi a raggiungere la sponda dell’altra isola da costeggiare. Che caldo a riparo dal vento! Mi tuffo restando vicino alla canoa in attesa che Kim sopraggiunga.
Da qui alla base è una passeggiata, più avanti ci aspetta solo un’altra piccola traversata controvento.
Non stanchi abbastanza tiriamo in secca le canoe e dopo un salto al bungalow, decidiamo di uscire con i sup (stand up paddleboard), dai quelle tavole da Caronte che alcuni hanno il coraggio di usare sulle onde. Il corraggio mica per loro ma per quei poveri surfisti che stanno in acqua quando un pericolo pubblico di certe dimensioni sopraggiunge. Non dico di non usarli, ma gli impavidi “quasi surfisti” che usano il paddle dovrebbero aver solo l’accortezza di adoperarlo in posti non affollati, ma si sa il buon senso non è tra i maggiori prerequisiti di molti. Tanto di cappello a quelli esperti a cui ho visto prendere onde esagerate in Western Australia, ma quella è un’altra storia.
In ogni caso la nostra seconda avventura è finita prima del previsto per via del vento contro davvero forte e con quei cosi era impossibile procedere. Ci riproveremo con le condizioni ideali spero.
Dopo qualche ora di sole cocente la mia pelle anche se scura, sento ne abbia avuto abbastanza, e prima di lanciarci nella nostra prossima missione, metto per la prima volta questa crema che Kim usa da quando è arrivato alle Isole Cook. Si va a pesca.
Kim con fucile da sub si tuffa nel canale tra la nosra isola e quella di fronte io mi dirigo a nuoto verso un scoglio nero che forma un isolotto, dove prima col sup abbiamo notato una colonia di granchi di una certa dimensione. La mia regola alimentare è che non mangio più carne né pesce a meno che non so da dove provenga, il ché avviene sempre più di rado. Oggi dopo giorni con una dieta a base di frutta comincio a sognare una bella pasta con i granchi e del pesce alla griglia.
Dopo un’ora di attività Kim ha preso tre pesci di media taglia, che però non sappiamo se siano commestibili, e io quattro granchi grossi come una mano.
Dopo la doccia decidiamo di portarli da Angelo con cui abbiamo appuntamento per andare a giocar a biliardo con qualche local al Fishing Club.
Arriviamo a casa sua proprio mentre sta per partire a bordo del furgone. Gli mostriamo il pesce e lui chiama la moglie che a quanto pare è più esperta. Il pesce nero più grosso viene bocciato, in effetti non è che avesse un aspetto invitante, e anche tre dei quattro granchi che ho preso io, ma non sono per niente convinto. E sinceramente detesto uccidere qualsiasi animale se non né ho davvero la necessità di cibarmene. Ma tutto avviene così in fretta: il pesce rosso, e quello che sembra un muggine, con il granchio buono finiscono in frigo e gli altri sottoterra.
Noi finiamo al Fishing Club, nella parte sottostante a giocare a pool con gli altri locali e Angelo. Quando arriva il suo turno Kim vince qualche partita e poi per fortuna ne perde una, io ho una gran fame e gli propongo di andare al Boat Shed, cosa che non può non fargli gola. Sono giorni che mi propone di andarci. Finiamo a cenare in un posto davvero unico in stile marinaresco, dove ritroviamo oltre al ragazzo e alla ragazza che ci hanno noleggiato la piccola auto che stiamo usando, e anche la proprietaria del locale e una coppia di italiani di Genova in viaggio di nozze. Li avevamo già visti a Rarotonga al Mooring, poi in un altro ristorante e rivisti all’aeroporto. Kim diceva che non erano loro, ma io non avevo dubbi.
Oltre alla cena, niente male a base di snapper con verdure e fish cakes (polpette di pesce), e un paio di birre, una delle cose davvero interessanti della giornata a parte le nostre avventure è stato l’incontro con Tony. Un signore che abita qua e che se ne va in giro per l’isola con un incrocio tra uno scooter e una mini moto da enduro. Un mezzo elettrico che mi ha davvero fatto venire voglia di acquistarne uno uguale e di cui vi parlerò nel prossimo articolo…
Se vi è piaciuto anche questo racconto su Aitutaki e le Isole Cook presto pubblicherò il seguito… continua.