Atiu

Atiu parte III – Viaggio alle Isole Cook

La giornata di oggi è cominciata con una sorpresa: Roger bussa alla nostra porta, poco prima delle otto, comunicandoci che da lì a poco sarebbe cominciato il nostro tour per conoscere il caffé di Atiu, l’Atiu Coffee appunto. Neanche dieci minuti dopo siamo già sul furgone di Jurgen diretti alla sua piantaggione di caffé locale. Non ho mai visto Kim così operativo neanche quando andiamo a surfare, anzi in quei casi sembra molto rilassato. Adora il caffé, nonostante fosse nostro desiderio fare un’esperienza del genere, ignoravamo completamente la sorpresa della giornata. Neanche un quarto d’ora dopo ci troviamo tra alberi di caffé che hanno circa 55 anni circa.

Jurgen ci racconta la storia di come abbia deciso di cominciare a coltivare caffé biologico sull’isola quando altre colture, come il pepe e pomodori, hanno fallito per vari motivi. Facendo tesoro degli errori altrui, e rimettendosi in gioco dopo una vita da impresario edile in Germania, a quanto pare ce l’ha proprio fatta. La sua azienda è un esempio di cultura integrata sostenibile e biologica.
Nonostante io non sia un bevitore di caffé, perché lo ritengo un medicinale più che una bevanda, devo ammettere che non solo sono rimasto affascinato dal processo di lavorazione di cui conoscevo una minima parte, ma ho anche gradito con estremo piacere il caffé che ci è stato offerto alla fine della visita. Anche in questo caso come per carne e pesce, bevo caffé solo se so da dove viene e se è biologico, perchè altrimenti oltre ad essere un danno per l’ambiente nelle piantaggioni estensive, e anche davvero nocivo per la salute, soprattutto per via della tostatura e dei veleni usati come antiparassitari.
Anche la visita prima del caffé all’art gallery di sua moglie è stata davvero piacevole. Questa Atiu non smette proprio di stupirci.

Jurgen e Winki

Jurgen e Winki

 

Le bacche di caffé

Le bacche di caffé

 

I chicchi del caffé essiccati

I chicchi del caffé essiccati

 

Atiu's Art

Atiu’s Art

 

Inconsapevoli di quello che ci aspetta nel pomeriggio, all’una Roger ci accompagna da Kuru. A bordo di tre scooter io e Kim, Kuru – la nostra guida – e Jackie, la ragazza che lavora con Roger all’Atiu Villas, ci dirigiamo verso alcune grotte che da molto tempo non sono state visitate.
Siamo un minimo preparati su quello che ci aspetta: abbiamo torce sulla testa, calzari da surf per camminare sul reef (né io né Kim abbiamo scarpe con noi), shorts e una maglietta da sacrificare: questa la premessa.
Kuru ci fa strada a colpi di machete nella fitta vegetazione della giungla, ma non vorrei dimenticare l’ennissima prova in fuoristrada in stradine fangose per giungere a destinazione.
Arrivati a un varco negli antichi banchi di corallo che una volta evidentemente si trovavano sul mare, Kuru fissa una fune e si cala giù in una fessura di roccia. Poco dopo a ruota lo seguiamo uno alla volta. Giunti alla base del primo pezzo uno scorcio di meraviglia della natura si apre ai nostri occhi: siamo al fondo di un cratere in cui lussureggia la vegetazione tipica dell’isola. Noi continuiamo a scendere verso sinistra e da quel punto in avanti torce accesse sulla testa entriamo nell’oscurità. Poco prima di varcare la soglia mi fermo, come consuetudine prima di entrare nel sottosuolo, a chiedere permesso agli spiriti che governano queste forze. Come mi ha insegnato Bill in Western Australia, le grotte e le caverne sono potenti passaggi per le anime, e se ci si trova ad attraversarle è meglio farle con il giusto senso di rispetto.
Una volta sotto, dopo la prima parte quasi a gattoni, raggiungiamo l’acqua e da lì in avanti comincia la vera avventura. Chi l’avrebbe mai detto che avrei dovuto attraversare mezzo mondo per ritrovarmi con l’acqua quasi al torace in alcuni punti e il fango denso alle cosce a camminare in un cuniculo di grotte che non so neanche il perché. A dire il vero non so davvero la ragione per cui ci troviamo qua, ce lo hanno proposto e ho pensato come spesso mi capita che ne avrei capito la ragione, quando succederà sarete i secondi a saperlo.

Il tempo non ha più importanza nell’oscurità del sottosuolo, procediamo aggrappandoci al soffitto con le mani e tastando il terreno ad ogni passo che sprofonda nel fango fino al banco di roccia successivo che ci garantisce un po’ di equilibrio. Non sto a chiedermi che genere di animali potrebbero vivere qui sotto, poi scopriamo che anquille lunghe anche un paio di metri sono le padrone di casa e ne ho la conferma quando Kim mi indica con la torcia un buco di una certa dimensione nella roccia. Esce solo la testa ma ha il corpo del diamentro di un polso di uomo e un colore verdino grigiastro. Ha una faccia simpatica e credo stia cercando di capire il perchè si ritrovi con una luce in faccia che la sta accecando nel buio di casa sua, quando lei di solito ci vede benissimo. Ci scusiamo per il disturbo e proseguiamo.
Non ho idea di quanto tempo passiamo là sotto, so solo che arriviamo fino al mare molto vicino al reef e poi Kuru decide che dopo un’esplorazione alla caverna più grande è il caso di tornare sui nostri passi. Si fa per dire perchè stavolta che siamo noi davanti vi assicuro che è tutt’altro che facile trovare la strada da dove siamo venuti. Tanto più che all’andata facevo soprattutto attenzione a dove mettevo i piedi che alla direzione, dato che ero in coda, ora sono in testa, e cerco di non sbatterla.
Nella strada del ritorno tra stalattiti e stalagmiti piccole, riusciamo anche a notare alcuni gamberi. La tentazione di farli alla griglia cede il passo al nostro buon animo. E poco dopo l’avvistamento ci ritroviamo prima quasi a gattoni nel passaggio più stretto e poi ad arrampicarci attaccati alla fune da cui ci siamo calati, che visto il terreno ripido e fangoso, semplifica notevolemente la scalata verso la luce.

Ringraziamo Kuru e prima di salutarci ci facciamo indicare dove poter trovare qualche papaia. Così diretti verso l’oceano per lavarci il fango di dosso facciamo scorta di frutta raccogliendo anche un paio di noci di cocco. Merenda in spiaggia dopo esserci lavati quanto possibile il fango da ogni dove. Le nostre t-shirt sembrano non volerne sapere e porteranno il ricordo di questa giornata penso con noi.

L’acqua cristallina e la merenda con papaia, acqua di cocco e cocco ci rigenerano dopo la fatica.

Realizzando lo stecco da cocco

Realizzando lo stecco da cocco

 

Kim operazione cocco

Kim operazione cocco

 

On the beach

On the beach

 

La spiaggia vista con gli occhi di una tartaruga

La spiaggia vista con gli occhi di una tartaruga

 

Non possiamo non concludere la giornata con il Tumunu di turno, dove ci ritroviamo a bere in cerchio con due locali il drink locale che giro dopo giro sodalizza lo scambio culturale.

Uno dei Tumunu di Atiu

Uno dei Tumunu di Atiu

 

Tumuru... salute

Tumuru… salute

 

Ciliegina sulla torta nel buio totale del sentiero che porta alla nostra casetta, la via lattea luminosa come si può vedere in mezzo all’oceano imprime nel mio cuore quel senso di immensità che solo la volta celeste può darti, e mentre osservo il cielo mi rendo conto che effettivamente il cielo è così incredibilmente vivido forse perchè qui non c’è inquinamento luminoso e in fondo siamo in mezzo all’Oceano Pafico.

Viaggio alle Isole Cook e ad Atiu continua nel prossimo articolo…