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Questo viaggio alle Isole Cook e, in questa parte sull’isola di Atiu, non smette di emozionarmi e soprendermi… e le soprese più belle arrivano quando meno te le aspetti.
Così seguendo il flusso della corrente, e non pianificando più di tanto in anticipo ci siamo ritrovati, dopo aver incontrato uno degli insegnati al Tumunu di ieri sera, ad assistere alle prove di musica di una classe della scuola del villaggio. Ricordo che il Tumuru qua è un evento sociale dove quasi tutte le sere gli uomini si ritrovano seduti in cerchio a chiacchierare e bere la bush beer locale. La tradizione voleva che ognuno portava delle arance con cui originariamente era fatta la bevanda per contribuire alla produzione successiva, che avviene una o più volte a settimana a seconda del consumo pro capite, ora va bene anche un contributo in moneta.

Local kid

Local kid

Abbiamo portato a scuola con noi Joyce, la giovincella di 85 anni che soggiorna anche lei alle Atiu Villas. Con due scooter, Kim con lei in dolce compagnia, siamo arrivati in paese e raggiunta la sala delle prove siamo rimasti a bocca aperta. Una trentina di ragazzi e ragazze tra i quattordici e i sedici anni stavano cantando e danzando accompagnati da un loro coetaneo con un tamburo e un insegnante alla chitarra. Ci hanno fatto accomodare da un lato dove l’altro nostro amico australiano, il quarto “turista” (questa settimana solo 4 ospiti sull’isola compresi noi), era seduto. Ci siamo gustati uno spettacolo inaspettato.

 

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Se vi dicessi che dopo un pò mi veniva quasi da piangere dalla commozione ci credereste? La melodia, la forza e l’energia che scaturiva da quelle giovani voci era così potente e antica che è difficile da descrivere. Meno male che erano solo le prove e che lo spettacolo si sarebbe tenuto dopo due mesi, non riesco ad immaginarlo diversamente e siamo tutti rimasti assolutamente affascinati e ammaliati.
Mi sono poi divertito a fare qualche ripresa e un paio di scatti tra i sorrisi e le smorfie di quelli che si accorgevano che li stavo fotografando.
Alla fine delle prove abbiamo fatto due chiacchiere con alcuni ragazzi che sono venuti a conoscerci e poi con gli insegnanti. Ci siamo congratulati, e io sono rimasto un pelo in più per raccontargli che purtroppo quando avevo la loro età a noi ci insegnavano a suonare il flauto “come on”, neanche un flauto traverso o un flauto tradizionale, una schifezza di flauto di plastica con un suono orribile. Ma chi vuole suonare il flauto? Se mi avessero fatto suonare la chitarra all’epoca o se avessero dato la possibilità ad ognuno di noi di scegliere il proprio strumento?! Ma è ovvio nella società moderna, anche se in alcune scuole è diverso, non c’è liberta di espressione. L’intento è quello di sopprimere il potenziale invece che liberarlo. Tornando al nostro dialogo mi sono complimentato con loro, in questo modo la loro cultura, l’espressione individuale ma anche l’unione del gruppo cresce in maniera naturale e molto pura. Che spettacolo! Grazie, grazie, grazie.

Sempre con Joyce abbiamo fatto una visita al Cultural Center dove una delle mama stava lavorando una corteccia d’albero che viene usata per fare poi tessutti, cappelli e altri oggetti tradizionali di uso comune. Mentre batteva con un battacchio di legno scuro, chiamato iron wood, su un altro pezzo di legno a mo’ di incudine, sembrava come in meditazione.
Lo stesso valeva per Birdman George seduto fuori su una sedia che intrecciava delle liane di “native jasmine” per ottenere una trappola per le anguille. Ovviamente ci ha concesso qualche perla di saggezza e un pò del suo umorismo.
Abbiamo salutato Ngametua, che lavora per l’Ufficio del Turismo locale. Oltre ad essere davvero gentile cerca di rassicurarsi, ogni volta che ci vede, che il nostro viaggio stia andando per la meglio. Senza ombra di dubbio se continuiamo di questo passo.

 

Birdman George che intreccia una nassa per la pesca alle anguille

Birdman George che intreccia una nassa per la pesca alle anguille

 

Ngametua - ufficio del turismo locale

Ngametua – ufficio del turismo locale

 

A quanto pare è arrivata la nostra seconda esperienza con il caffé locale, e con Joy ci siamo ritrovati a casa di Mata Arai, un dolce signora che da solo coltiva il suo Atiu Coffee biologico. Ci racconta le fasi della lavorazione e che una volta aveva una decina di aiutanti e ora le tocca fare tutto da solo. La buona notizia è che la figlia a quanto pare tornerà entro qualche mese dalla Nuova Zelanda ad occuparsi dell’azienda e lei potrà finalmente, “forse” ci dice sorridendo, andare in pensione. Un incontro caloroso seguito da una colazione con un caffé eccezionale e latte di cocco spremuto in diretta per noi, accompagnato dagli scones tipici anglosassoni anche questi innaffiati con latte di cocco. Ci siamo sacrificati e abbiamo dovuto mangiarli tutti fino quasi ad esplodere. La cosa sorprendente è che nonostante io beva di rado il caffé, questo non solo me lo sono gustato ma non mi ha reso ha dato gli effetti collaterali di quello comune, ma ci credo questo oltre ad essere biologico è fatto proprio con amore, e si sente. Un’esperienza che consiglio vivamente, ci siamo sentiti ancora una volta a casa…

Mata Arai

Mata Arai

 

Una parte della lavorazione

Una parte della lavorazione

 

Mata Arai Atiu Coffee

Mata Arai – Atiu Coffee

 

Riconsegnata la nostra fanciulla di ottantacinque anni alle Atiu Villas, carichiamo l’attrezzatura e ci dirigiamo verso l’Oceano.
Siamo diretti verso il Coral Garden, ma Kimbo ha la geniale idea di prendere una strada alternativa. Ora le abbiamo battute quasi tutti le “strade” dell’isola, che come dicevo a parte quelle del centro asfaltate in tempo immemore (ma questo è il fascino del posto), le altre non solo sono sterrate ma dopo le pioggie dei giorni passati anche fangose e ancora ricoperte di rami, noci di cocco e foglie grazie all’ultimo ciclone, che non penso nessuno sposterà se non con le ruote del proprio mezzo. A proprosito del ciclone tutti i periodi dell’anno sono ideali per visitare le isole tranne febbraio-marzo quando ovviamente abbiamo deciso di venire noi.
Quindi in una strada ancora più selvaggia delle altre, io alla guida, ho sollevato la questione mentre la strada si faceva sempre più sconnessa e piena di erba alta verde: “Kim non pensi che se questa strada non sembra così battuta ci possa essere una ragione?” la risposta è stata “it’s only for the smart one” (è solo per i più furbi!). Che immagino dovremmo essere noi.
Non so come riusciamo a rimanere in piedi dopo aver urtato un ramo grosso che non ho visto perchè passati dal sole all’ombra. Ahi! Urto il piede sinistro e mi faccio male a qualche dito indossando solo i calzari da reef per il surf. Ricordo che entrambi non abbiamo scarpe. Non ce l’abbiamo proprio. Un paio di infradito e un paio di calzari a testa è quello che ci siamo portati appresso. Dopo un’altra discesa da trial arriviamo quasi vicini alla strada che gira attorno all’isola. Quasi, perchè il motivo per cui non passava nessuno da quelle parti da un pò lo troviamo sdraiato sulla strada: un grosso albero che fa da sbarra. Non c’è verso di passare, torniamo indietro. “La strada per i più furbi, eh?”

Un’altra giornata di sole. Camminare in equilibro sulla barriera corallina è già di per sè un’esperienza unica. Lasciarsi poi trasportare dalla corrente in apnea tra i pesci tropicali è come vivere un sogno. L’acqua cristallina, la pace delle pozze all’interno della barriera e la forza delle onde a noi familiari, ma qui davvero impetuose e imprevedibili. Nuotiamo per ore e ci dimentichiamo del tempo. Fino a quando pensiamo di tornare alla base, oggi pomeriggio ci aspetta un’altra avventura.

Winki al Coral Garden

Winki al Coral Garden

 

Winki Turtle

Winki Turtle

 

L'acqua cristallina del Coral Garden

L’acqua cristallina del Coral Garden

 

Marshall si fa strada col machete tra la giungla cercando di liberare il sentiero dai rami caduti dopo il ciclone che noi ci siamo gustati ad Aitutaki. È circa una settimana che non porta nessuno da queste parti, e oggi solo io, Kim e l’altro australiano siamo i fortunati.
Mi ha convinto ad indossare delle scarpe per via del corallo su cui dovremmo camminare. Sia io che Kim abbiamo per buon senso dovuto accettare, ci ha prestato le sue. Certo che è bizzarro pensare che il corallo sia la roccia predonimante anche se ci troviamo quasi al centro dell’isola a una certa distanza dal mare, ma Roger (il proprietario dell’Atiu Villas, dove siamo alloggiati) spiegandoci la geologia dell’isola ci aveva fornito la spiegazione il primo giorno. L’isola cresciuta ad alternanza tra varie ere glaciali porta con sé verso l’alto le tracce della sua storia.
Non ce la faccio proprio a tenere le scarpe e le indosso solo più avanti quando le punte di corallo saranno davvero troppo affilate anche per i miei piedi risuolati.
Anche solo la camminata di mezzora di andata nella foresta vale la pensa del viaggio, la cosa bella di questa foresta a differenza di molte altre che ho avuto la fortuna di visitare, e che non c’è quasi alcuno tipo di animale pericoloso, a parte un ragno che comunque non è velenosissimo, ed è arrivato a quanto pare dalla Cina in vacanza, ed è rimasto qua perchè gli è piaciuto il posto. Mi sa che non è l’unico vedi Roger, vedi Marshal, vedi Jurgen alcuni degli occidentali che hanno fatto di Atiu la propria dimora.

Abbiamo visitato le Anatakitaki Caves, indubbiamente ognuna con il suo fascino e una particolarità. In una di queste un piccolo uccello, unico al mondo, il Kopeka, nidifica nella totale oscurità. Usa un sistema simile a quello sonar per orientrarsi nel buio totale delle caverne. Emette un cicalio a varie frequenze che interrompe solo quando raggiunge la luce. Siamo andati a trovarlo. Il simpatico Kopeka, per niente spaventato dalla nostra presenta assomiglia ad una rondine, infatti quelle volpi degli inglesi non gli anno dato importanza pensando che lo fosse.
Devo dire che Marshall da brava guida, conoscendo il terreno a memoria, ci ha guidato come un papà con i figli dicendoci di volta in volta anche dove mettere i piedi il ché ci ha evitato di pensare e ci siamo concentrati sull’esperienza.
Ma la ciliegina sulla torta, dopo la camminata nella rain forest e la visita alle prime due grotte, è stata il bagno rigenerante nella pozza di acqua artesiana cristallina in fondo all’ultima grotta che abbiamo visitato. Abbiamo spento le torce, acceso tre candele, che Marshal aveva lasciato là, e ci siamo immersi nell’acqua fresca (a quanto pare circa 21 gradi), che dopo il caldo tropicale che ci accompagna da quando siamo qua è un piacevole cambio nonché una botta energizzante.
Purtroppo neanche oggi siamo riusciti a vedere uno dei famosi coconut crabs, che sono protetti anche se purtroppo su qualche isola sono finiti in qualche menù di ristorante per turisti. Sono granchi di una “certa” dimensione che si chiamano granchi del cocco non perchè ci vivono nelle vicinanze ma perchè mangiano noci di cocco. Ora lo so che sembra difficile da credere ma se cercate qualche foto su internet capirete di che tipo di bestia sto parlando, e se riesce ad aprire una noce di cocco con le chele immaginate cosa possa fare alla vostra mano se cercate di prenderlo.

Il ritono nella foresta è stato quasi un rituale per uscire lentamente dal mondo delle caverne che non mi stancherò mai di ripetere bisognerebbe approcciare con un certo rispetto, d’altronde i popoli nativi della Terra se le hanno sempre considerate sacre un motivo pur ci sarà. Varie credenze e usi diversi, quello che conta però è il modo con cui ci avviciniamo a luogi sacri.

 

 

Nella foresta verso le grotte

Nella foresta verso le grotte

 

Marshall la nostra guida

Marshall la nostra guida

 

La giornata non poteva che non terminare con l’ultimo Tumunu a casa di John. Per brindare alla nostra partenza, ma soprattutto alla nostra permanenza sull’isola. Soprattutto qua ad Atiu, come anche nella alte Isole Cook, che abbiamo più vissuto che visitato, la cosa che ci ha rapito di più, più della barriera corallina, più delle onde, del cibo, delle palme, del sole e del vento, è la gente. Gente semplice, accogliente, sorridente, meravigliosa che ci ha fatto sentire a casa.
Mai nessuno in un mese che abbia cercato di venderci qualcosa, nessuno che ci abbia importunato come succede purtroppo spessissimo in Indonesia e in altri posti, solo tanti sorrisi. Chiunque, dico chiunque abbiamo incontrato ha sempre avuto un saluto, uno scambio di sguardi e un sorriso per noi.
Quindi consiglio che se venite alle Isole Cook, per il mare tropicale o per trovare spiagge da sogno le troverete, ma come in tanti altri posti del Pacifico e dell’Oceano Indiano, quello che vale la pena di vivere qua è di lasciare andare le proprie barriere culturali, e incontrare la gente del posto. Questo può fare tutta la differenza in un viaggio alle Isole Cook… e di certo l’ha fatta per noi.

 

Good Bye Atiu

Good Bye Atiu

 

Il viaggio alle Isole Cook continua nel prossimo articolo…