Il viaggio alle Isole Cook, ci sta riservando di momento in momento esperienze inaspettate.
Non mi era mai successo di salire a bordo di un aereo con meno di 12 posti, come non mi succedeva da un pò, nonostante tutti gli anni di viaggi, di sentirmi a casa fin dal primo secondo arrivato un luogo, Australia a parte ovvio ;).
Io e Kim abbiamo volato da Aitutaki a Rarotonga con un piccolo aereo e dopo che Lydia, il nostro angelo custode, ci è venuta a prendere per assicurarsi che tutto procedesse per il verso giusto, ci siamo imbarcati su un aereo ancora più piccolo per venire qua ad Atiu.
Anche solo prima di atterrare ad Atiu ho sentito una forte emozione. Adoro scoprire luoghi nuovi, ma quest’isola sembra davvero essere stata estrapolata dal Jurassico. Ovvio che ci siamo portati le tavole da surf anche qua, ma in fase di atterraggio, scorgendo la barriera corrallina a ridosso dell’isola ho percepito che non sarà facile trovare un posto per fare scendere le noste tavole in acqua.
Siamo atterrati in una pista semi asfaltata, ma è stato divertente. Il benvenuto da parte di Ngametua, che ci aspettava all’aeroporto, e di Roger, il proprietario dell’Atiu Villas dove siamo alloggiati, davvero caldi e ospitali. È stato bello ricevere nuovamente la ei con il “Kia Orana”.
Poi Roger che ci è venuto a prendere con il suo pick up 4wd ci ha raccontato la storia geologica di Atiu. Un vulcano che per via dello spostamento della crosta terrestre ha perso la sua base, e millennio dopo millennio è affiorato dalla superficie marina per diventare l’isola che è tutt’ora. Varie ere graciali si sono susseguite alla crescita del corallo attorno all’isola, che a quanto pare cresceva solo nei periodi con temperature più alte. Una storia affascinante, come tutte le altre che ci ha raccontato portandoci in giro per l’isola prima di arrivare al suo resort, un piccolo angolo di paradiso celato all’interno della foresta. Qui è tutto molto selvaggio, la vegetazione fa da padrona.
Ci siamo sentiti subito a casa nel nostro bungalow appena assegnato. Abbiamo anche la possibilità di cucinare, il chè non ci dispiace affatto.
Tra le varie cose di cui ci ha raccontato, Roger ci parlava del Tumunu. Un rito che avviene quasi ogni sera, dove gli uomini si ritrovano in cerchio a degustare la bevanda locale che chiamano bush beer. È quasi un onore essere invitati ad un evento del genere, ma chiunque può partecipare a patto che porti con sé un busta di arance per la produzione successiva, o che lasci un’offerta per contribuire alla stessa.
Così quando meno ce l’aspettavamo abbiamo sentito bussare alla porta non molto dopo che eravamo arrivati. Era Roger che ci chiedeva se volevamo andare da un suo amico per sperimentare il Tumuru. Secondo voi abbiamo accettato?
Davvero un’esperienza unica, e devo ammettere che ora mentre scrivo sono un pò brillo, ma vorrei vedere voi dopo una decina di bicchieri (fatti di cocco) di bush beer. La cosa più bella è che mi sono sentito come a casa, come quando in Sardegna con Francesco invitiamo qualche amico che viene a trovarci a bere la vernaccia appena prodotta da Valerio e custodita nella sua cantina centenaria . Uno di quei momenti che sai quando ti siedi ma non sai quando riuscirai ad alzarti. Devo dire che mi sembrava di essere come in un film la conversazione davvero divertente ancora da prima che l’alcool facesse il suo effetto.
Seduti in cerchio, John il padrone di casa riempie il fondo di una noce di cocco che passa di volta in volta al bevitore di turno che secondo tradizione ha il tempo di un pensiero per scolare tutto di un fiato prima di restituirlo. Per fortuna tra un giro e l’altro c’e spazio per due chiacchiere. Un evento sociale, un rito antico che avvine in ogni parte del mondo. Penso che per momenti come questi ne è valsa la pena attraversare mezzo mondo, anche solo per sentirmi a casa. Ma anche per sentire la forza del fuoco di quest’isola e la natura incontaminata che ci è cresciuta sopra dopo che milioni di mareggiate l’hanno smussata dalla sua forma vulcaninca originaria. Kia Orana, ad Atiu mi sento a casa, into the wild.
Sto scrivendo seduto su una sedia di legno alla scrivania anch’essa di legno della nostra casetta con veranda sulla foresta. La sensazione che mi pervade durante tutta la giornata è di avere fatto un salto nel passato, anzi due salti nello stesso tempo in epoche diverse. Il primo che riguarda lo stile di vita a parte l’uso degli scooter e qualche dettaglio elettrico mi sembra di trovarmi all’inizio del secolo; la gente molto ospitale e la vita molto essenziale. A parte che noi abbiamo il wi-fi gratis qui all’Atiu Villas, non penso che internet sia tra gli interessi degli abitanti del posto, ad eccezioni dei giovani che forse lasciano l’isola per andare a vivere e far soldi in Nuova Zelanda, e tornare qui 30-40 anni dopo aver realizzato che stavo meglio qui. Ovvio in tutto c’è il pro e il contro ma credo che in un posto come questo si possa ancora vivere senza troppo essere inquinati dalla società moderna.
L’altro salto nel tempo è molto più ampio e mi catapulta indietro di qualche milione di anni facendomi immaginare varie volte che in uno scenario davvero selvaggio come questo un tirannosauro possa sbucare da un momento all’altro dalla foresta mentre ci aggiriamo in avanscoperta. Ovvio questo non sarebbe possibile perchè anche se dall’aspetto incredilmente jurassico, questa isola come le altre dell’arcipelago, se così di può definire vista la distanza tra le singole isole, sono relativamente giovani. Roger ci ha detto, come in parte accennato, che Atiu ha solo 11 milioni di anni ed è stata generata da un vulcano sottomarino che ha generato una montagna di lava che spostandosi nell’evoluzione geologica si è poi allontanata così tanto dal suo centro magmatico da far morire il vulcano. È cosi che è nata Aitu, e come ci racconta Roger con un senso dell’humor tutto suo, l’isola sta ancora crescendo e chi viene a visitarla ha la sensazione di andare su, ma solo di due millimetri all’anno. Il resto della storia geologica è molto affascinante ma non di materia che mi appartenga, dato che mi occupo principalmente di vivere il presente. Quindi per la storia evolutiva, le caratteristiche morfologiche e la formazione del corallo vi rimando al sito curato personalmente da Roger www.atiu.info.
Ieri abbiamo noleggiato uno scooter sempre qui da Roger e ci siamo lanciati della prima avventura. Non so come abbiamo fatto a tornare tutti interi perchè dopo la pioggia la maggiorparte delle “strade” dell’isola erano adatte per un rally e non tanto per un due ruote che si è comportato egreggiamente. Kim ha guidato impeccabilmente anche se un paio di volte ho dovuto ricordargli che non solo eravamo scalzi e in costume, ma anche senza casco (ovvio anche qui non è obbligatorio). Una volta raggiunta la costa, con ancora una speranza di trovare onde da surfare abbiamo appurrato che è selvaggio come il resto dell’isola.
Un cerchio di corallo la circonda spesso a ridosso della costa, tranne in un pezzo di scogliere a strapiombo che non siamo riusciti a trovare per via del fatto che gli accessi non sono del tutto semplici. Devo ammettere però che anche se Rotorua ha il suo fascino legato alla cultura locale, alla bellezza della barriera corallina e soprattutto la presenza maestosa dell’antico vulcano al centro dell’isola; Aitutaki la meraviglia della laguna immensa con l’acqua turchese e i suoi isolotti, qui la natura selvaggia è davvero la caratteristica fondamentale e milioni di alberi coprono mi sento di dire il 95 % del paesaggio.
Le onde le abbiamo trovate eccome!! ma ancora una volta non surfabili. Un paio di metri di onde oceaniche che esprimono tutta la loro potenza passando dal mare a strapiombo alla corona di corallo che circonda l’isola. Non c’è acqua abbastanza per permettere di cavalcarle perchè s’infrangono sul corallo quasi sempre esposto. Cerchiamo di trovare un posto adatto, con un’onda surfabile ma ci dobbiamo arrendere all’evidenza dei fatti: anche se alcune onde sembrano surfabili, ma davvero potenti, a patto che riuscissimo ad uscire illesi in mare per prenderne qualcuna, il problema più grosso sarebbe tornare a riva senza nessun canale, passando sul corallo. Con il rischio che potete immaginare in caso che qualcosa vada appena appena storto. Il gioco non vale la candela, nonostante la nostra esperienza, anche forse proprio per quella che rimaniamo a sognare di poter surfare onde del genere in condizioni fattibili. C’è un vaga speranza che qualcuno ci possa portare in un’isola disabitata a venti chilometri da qua dove la leggenda narra ci sia un’onda surfabile, magari dei pescatori. Ripeto una vaga speranza, anche perchè dopo aver girato tutta l’isola e non aver incontrato un’anima viva ci chiediamo dove sia la gente del posto. A parte che nel centro dell’isola, dove ci sono i cinque villaggetti riuniti in cinque strade a raggio, il resto sembra disabitata. Per questo ci piace ancora di più…
A quanto pare anche qui è la stagione umida. Non hanno visto una goccia di pioggia per più di sei mesi, quindi non possiamo lamentarci. Però se doveste capitare tra a febbraio-marzo da queste parti ricordatevi tutte le precauzioni del caso anti-zanzare: tipo abiti lunghi e leggeri di colore chiaro e repellenti. In non uso roba chimica ma il repellente che ho fatto in casa e che di solito funziona, qui sembra acqua di rose. Zanzare tigre a migliaia, hanno riscontrato qualche caso di “zica” una forma di virus tipo dengue ma più leggera. Trasmessa dalla zanzara nelle Isole Cook del sud, ma se venite nella stagione giusta quindi tranne i mesi citati dovrebbere essere tutto ok. Beh noi abbiamo portato la pioggia, la gente del posto dovrebbe essere contenta.
Prima di tornare alla base ci siamo procurati un altro bastone, a cui ho fatto la punta con il coltello di Kim. Un altro stecco per il cocco, che ha fatto il suo dovere, e dopo averne bevuto il succo ci siamo gustati la polpa della noce di cocco più buona che ci è capitata dall’inizio del viaggio e forse in vita mia. Era diciamo stagionata al punto giusto. Mi sa che vado a mangiarne un’altro pezzettino…
Il viaggio all’Isola di Atiu alle Isole Cook continua nel prossimo articolo…