Australia, India e Nepal, Mediterraneo
Di Alessandro Bossini
Cuore a pedali è un libro strano, ma non per questo non mi ha preso fin dalla prima pagina. Forse strano perché passato “dall’Australia all’India” non sono ancora riuscito ad inquadrare il personaggio. Sarà che corre “veloce” sulla sua bici e sembra sempre avere fretta, una fretta che non mi appartiene, sembra che non voglia legarsi ai luoghi e alle persone che incontra e, da viaggiatore come sono, a volte mi dispiace non fermarmi di più in un luogo a parlare con una persona o avere la possibilità di riposarmi qualche volta grazie al suo racconto. Ma questo è il suo modo di viaggiare, e ognuno ha il suo. Non per questo non mi ha divertito ed emozionato il suo racconto, anzi.
Anche se per assurdo spostandosi quasi esclusivamente pedalando a volte mi è sembrato che avesse fretta. Fretta quando attraversava il deserto, che adoro e che a me personalmente ha regalato mesi di pace. Un luogo da cui non posso pensare di fuggire verso un altro dove, ma questa è la sua storia e non la mia ripeto.
Grazie al suo racconto ho rivisto un’Australia che conosco anche sotto altri punti di vista. Ho ritrovato la generosità tipica degli australiani, e la loro amichevole ospitalità. Mi sono ritrovato innumerevoli volte nelle offerte di aiuto che gli sono state date quando qualcuno si accorgeva che Alessandro non era “uno che faceva un giro in bici”, ma uno che anche se non ve l’ho ancora detto di Australia ne ha attraversata quasi metà a pedali.
A volte un po’ folle e sconsiderato, quando per esempio si rende conto di trovarsi a scendere da Darwin ad Adelaide, a occhio e croce più di tremila chilometri, nel periodo con vento contrario. Quando invece sarebbe meglio fare lo stesso tragitto partendo da sud. Folle quando non calcola le scorte d’acqua, e spesso pur di continuare a pedalare si strenua, rimanendo senza cibo e senza la vitale acqua. Però come spesso accade in casi estremi, la mano invisibile di qualche presenza superiore (dico io) fa sì che arrivi l’aiuto giusto al momento giusto. Per innumerevoli volte si trova in salvo, con un po’ di frutta, con un pieno d’acqua e spesso anche con un tetto sotto cui dormire. La maggior parte delle volte però dorme dove gli capita, accanto un albero, all’inizio non curante dei mille pericoli australiani, da rettili ad aracnidi. Poi si decide a sottrarre al suo budget i dollari necessari per acquistare una tenda, e quando è possibile diventa la sua casa.
Alessandro scrive ogni tanto da un internet cafè, e ogni tanto prende appunti accompagnandoti a spasso in bicicletta per l’Australia. Come se fosse una cosa normale fare una cosa del genere. Spesso emerge la fatica, il sudore, la stanchezza e ogni tanto la follia dell’impresa. Non pensate che sia l’unico che abbia fatto una cosa del genere, spesso mi è capitato di sentire storie di globe trotter in giro per l’Australia. Ma in ogni caso il suo gesto rimane una cosa unica. Sarà per quel suo modo di viaggiare a mio avviso a volte poco organizzato per un viaggiatore esperto, ma sembra che gli imprevisti (fora le ruote un’infinità di volte anche se un’infinità può essere relativo se rapportato alla vastità dell’Australia), gli si spacca il sellino e molte altre cose che non vi svelo perché è comunque un libro che vi consiglio di leggere e non voglio rovinarvi la sorpresa.
Poi dall’Australia il racconto prosegue in un altro viaggio circumnavigando, sempre in bici, l’India. Si spinge fino in Nepal.
In India, la fotografia dei suoi racconti si fa più precisa e se vogliamo mi trascina maggiormente con lui in viaggio.
Nella prima parte del racconto, la sua scrittura sembra, e forse è, un’interminabile poesia. Una metafora in ogni cosa: tramonto, alba, incontro con l’Oceano o con una ragazza. La lettura non scorre veloce come lui sulla bici, ma quello che leggi ti basta per quel momento. Poi in India trova più fluidità, non so se sia per il fatto di scrivere anche su un diario ma la sua “letteratura” diventa più fluida e gli odori, colori e sapori, escono dal libro come se tu fossi lì col lui come un compagno di viaggio. Mi fa davvero venire la voglia di intraprendere il viaggio in India che non ho “ancora” realizzato. E mi viene voglia di andarci a piedi altro che in bici. Vorrei vedere quel posto meraviglioso a passo d’uomo per non perdermi nulla della bellezza che riesco a intravedere dal suo racconto e da altri che ho letto. Sicuramente un viaggio forte in una terra di contrasti, ma non potrebbe essere diversamente in un Paese che attira milioni di anime a sé.
Poi in qualche modo torna a casa e comincia dopo un tempo indefinito la sua nuova impresa attorno al Mediterraneo, in un progetto chiamato appunto “Mediterraneo a Pedali”. Con l’intento di sensibilizzare il pubblico verso tematiche sociali e di fratellanza dei popoli, oltre che un chiaro messaggio di tutela ambientale, in fondo andando a “pedali” non si inquina per niente… anzi penso proprio che si depuri l’anima.
Quindi partito dalla sua cara isola del Giglio per la sua nuova avventura, dirige verso la Francia, Spagna e Marocco. Mille incontri, pioggia, sole e pioggia e tante storie raccontate di fretta. Quella stessa fretta che purtroppo lascia troppo all’immaginazione. L’avventura ti prende e sei li con lui, mi rivedo nel suo viaggio, ma vorrei sapere di più di quelle persone tanto preziose che incontro, non per curiosità ma per il fascino vero e proprio del viaggio. Dove in fondo contano più di mille paesaggi i cuori delle persone che ti fanno sentire loro amico.
Così una volta che gli negano il tanto atteso visto per l’Algeria si trova, un po’ come scherzo del destino sulla rotta a ritroso verso Marsiglia dove proseguirà il suo viaggio verso la Tunisia in traghetto.
Il deserto che non può certo lasciare indifferente un viaggiatore e poi ancora Libia, terre di sorprese e dall’immensa ospitalità… Egitto, Giordania, Libano, Siria, Turchia, Grecia, Albania, Croazia, Slovenia per poi far ritorno in patria. Non posso raccontare di più per non rovinarvi la sorpresa del viaggio ma vi posso salutare con una raccolta di alcuni frammenti che mi hanno lasciato qualcosa di più… e che aprono finestre su altri mondi. Peccato solo la sua fretta o la mancanza di tempo per scrivere perché penso davvero che da queste tre avventure sarebbero potuti nascere tre libri invece che uno solo, ma ognuno ha la sua storia e la scrive a suo modo. Boa Viagem!
Lei è olandese, backpacker, si è fermata per qualche settimana a lavorare in questa stazione. La sua bellezza ha qualcosa di magnetico.
«Sto andando a Uluru, voglio vedere dal vivo questo famoso monolite rosso» dico.
«È uno spettacolo unico, ma è molto lontano… Perché non ti fermi qui per stanotte? Non è male: c’è un giardino pieno di alberi e ombra, e nuotare in piscina sotto le stelle è fantastico. Io ci vado sempre finito il servizio…»
«Si effettivamente sarebbe bello…ma oggi c’è vento a favore, è bene sfruttarlo…»
Mentre pronuncio queste parole una voce nella testa mi urla: “Imbecille! Imbecille! Una ragazza che è la fine del mondo ti chiede di rimanere con lei in un’oasi verde e tu che fai? ‘No, no, devo correre verso un sasso!’”.
«Sicuro?»
Un ultimo sguardo si posa sulle gote morbide, scivola lento su una ciocca di capelli sfuggita al berretto e… non riesce a fermare la sua corsa. Mi allaccio il caso sorridendo e annuisco senza aprire bocca.
Ma mentre pedalo il profumo di frutta dell’olandese continua a tormentarmi, la voce interiore mi dice di tornare indietro, i pedali girano svogliati. E non passa, a pestare più forte…
D’improvviso la catena perde la marcia e sbando, la tacchetta si stacca dal pedale. Fortunatamente non cado, ma colpisco il cerchione. Storco un raggio, e la ruota torna a ballare.
Non dico una parola. Non alzo neanche lo sguardo e continuo a pedalare. Nel silenzio.
A quanto pare sto diventando un’attrazione! Molte macchine sorpassandomi si fermano per scattarmi fotografie e farmi vere e proprie interviste.
«Ma viaggi solo con quello zainetto?!»
«Si… ma ho anche una tenda.»
Solitamente mi guardano, poi ruotano lo sguardo sull’orizzonte del deserto, e quando tornano a fissarmi hanno gli occhi spalancati come uova. Lascio a tutti l’e-mail e l’indirizzo del Giglio.
Il vento è tornato a soffiare contrario. Non tutti i giorni sono buoni… ma quando metto piede a terra per fermarmi si affianca un’auto. Chi dell’acqua, chi della frutta, chi mi stringe la mando. Mi da coraggio, e proseguo più sereno.
È difficile farsi un’idea di cosa siano miglia e miglia di deserto. Come uscire di casa con una gomma e iniziare a cancellare le case attorno, poi le colline e ancora e ancora, finché non ci si trova di fronte a un quadro senza confini, un foglio vuoto con trucioli di gomma che si aggrumano a perdita d’occhio.
L’aria si è rinfrescata. Nembi compaiono minacciosi nella loro densità. Le prime docce scendono poche centinaia di metri più in là, sono acquazzoni che si spostano tanto velocemente che la pioggia scende piegata in una curva.
Non un albero dove ripararsi. Durante la notte il vento mi sbarba la tenda mentre la luna risplende grassa e a malapena i pesanti massi impediscono ai teli di volare via.
…ieri sera sono arrivato camminando a destinazione. C’era troppo vento per pedalare, non riuscivo a tenere l’equilibrio e le gambe erano piene di fatica.
Solo 60 km in otto ore! Alla fine ho messo le scarpe da ginnastica e i restanti 40 km ho spinto la bici al passo.
Il paesaggio… Pagine intere si potrebbero scrivere su queste tele che cambiano ogni ora, ma un deserto di piramidi bianche, quello non l’avrei mai immaginato! Lungo la strada si sollevano tumuli di ciottoli, rocce frantumate dal colore chiaro, biancastro…
Parto da Coober Pedy a mezzogiorno. Nel marsupio una manciata di opali di nessun valore commerciale, tra i pensieri ho ancora le storie del vecchio minatore greco che, fatta fortuna a soli 22 anni, ha poi scoperto che per essere felice gli bastavano venti dollari al giorno. Ha comprato casa a ciascuna sorella e ha aperto un ristorante. Adesso ha i capelli bianchi, pelle rossastra come il deserto e all’ombra di una cava passa le giornate vendendo collane che fabbrica al momento.
Il vento soffia forte, a raffiche, ma non importa, ho un sorriso che se ne infischia delle labbra secche e così vado avanti, lentamente, ma vado avanti. forse sarà stato dormire in un letto, oppure i venti minuti di doccia fredda, forse la frutta fresca e le numerose barre di cioccolata… O più probabilmente i tre baci con cui mi hanno salutato due ragazze francesi.
«Be’, allora ci vediamo ad Adelaide tra due settimane. Noi studiamo là ancora per due mesi: letteratura aborigena!» mi hanno detto. Una è bionda con gli occhi azzurri, l’altra ha la pelle baciata dal sole d’Africa, gli occhi neri dell’islam e un sorriso candido come lo spicchio di una mela rossa. Virginie si chiama, di Lione, come sempre accade in viaggio forse non ci rivedremo più, ma la mia mente assocerà a ogni opale una collana di parole dall’accento francese.
Deserto. Una tribù invisibile rotola in queste terre. Nel silenzio sibila un fruscio. Cos’è? Lo strisciare di un serpente? Il battito d’ali di un avvoltoio? Nulla! Poi la terra si smuove, come se un essere ne percorresse le interiora a gran velocità. D’improvviso compare un mulinello d’aria che s’alza per un paio di metri, un corno che si contorce lottando con se stesso, cambiando direzione come una mosca impazzita… Ogni volta cerco di affinare lo sguardo, scruto nella corona di terra che si forma al suolo… Ma nulla. Tutto svanisce in pochi attimi e io resto con la mia immaginazione e una manciata di polvere che lenta ricade a terra. Si tratta di piccoli rettili, detti “diavoli spinosi”.
India:
Mentre aspetto l’apertura del negozio di bici scrivo delle prime ore di Bombay: l’atterraggio è stato brusco, il volo traballante e, quando le porte scorrevoli si sono aperte, l’alba non era ancora sorta. Non ho dormito durante il viaggio, l’euforia era troppa per avvertire la stanchezza.
Il cerchio equatoriale sfiora Bombay e il caldo soffoca anche di notte, tant’è che una patina di sudore vela sempre la fronte.
Schiere di persone fanno cenno per offrire trasporto e albergo.
Una si avvicina mostrando tesserino e foto. «Dove vai? Dove dormi stanotte? Vieni con me. Ti porto in un motel, potrai riposare e avere tutte le informazioni che cerchi.»
«Grazie ma cerco solo un negozio di bici…»
Il discorso va per le lunghe vuole rifilarmi viaggio e pernottamento a otto ore di autobus!
«Bombay non è sicura, vai in questo villaggio turistico… spiaggia, servizi, e molti italiani.»
«Senti, per ora cerco solo una bici, poi vedrò.»
Gli racconto dell’esperienza che intendo fare, ma lui ribatte: «Ma cosa credi! Questa non è mica l’Europa. Povertà, bombe e attentati, ti ritroverai un coltello nello stomaco per i soldi che ti porterebbero in un luogo divertente. Non vuoi questo biglietto? Allora faresti meglio a tornartene da dove sei venuto!»
Un’overdose di colori, suoni e odori manda le miei percezioni in tilt. Mi sento inadeguato, fuori luogo e immaturo per questo viaggio. La strada è piena di buche, sui bordi macerie e mondezza si accumulano accanto ai carretti dei venditori di frutta. Baracche senza mura pendono sui marciapiedi che di notte fungono anche da dormitorio. E tuttavia mi affascina…
Inizia a piovere, presto diluvia! Mai vista scendere così forte! L’aurora è sorta senza colore, il bianco sovrasta.
Clacson, clacson, clacson! Apette, risciò, moto, e bici come zanzare, tutti suonano: bi bi biii, trin trin trin! Le foglie di banano come ombrelli, una mucca rumina scarna in mezzo alla strada e fa inchiodare un’auto. Tamponamento. Suonano ancora, suonano sempre: bi bi biii, clackson su clackson. E si riparte.
Odore di povero, odore di pelle, di uomini e di vacche. Tutto insieme…
Il negozio di bici… è un garage di pochi metri che si apre davanti a un cimitero di biciclette coperte da foglie e teli. È il migliore della città! L’unica mountain bike ha problemi ai cambi, è obesa e manca di bagagliaio.
Il proprietario scrolla le spalle farfugliando qualcosa a un ragazzo. Questo prende chiavi, martello e a suon di botte modella il telaio per incastonarci il portapacchi, un po’ d’olio alla catena e voilà, “Frankenstein” è pronto.
Continua il diluvio mentre provo la bici sotto l’acqua… ogni buca traballo, le auto suonano, e come un’ape gialla la mia testa si perde in un roveto di more nere.
Naturalmente scarpe automatiche, contachilometri, valigie posteriori… neanche a spiegare cosa siano!
Suoni, frastuoni. Bancarelle a festa stendono le merci per terra e sull’asfalto. C’è chi scaccia le mosche e chi aspetta sdraiato.
Salgo le rampe, le riscendo… poi uno scoppio.
Purtroppo non è un petardo festivo, ma la ruota anteriore. Ma come?! Credevo che così spesse fosse impossibile forarle. Cerco di farmi coraggio, può capitare… Smonto la ruota (hai i bulloni, non gli sganci rapidi), tolgo la camera d’aria: che strano, non è bucata, è proprio esplosa…forse era stata montata male. E ora?
Una schiera di curiosi forma un mezzo cerchio attorno a me e mi fissa impassibile con le braccia incrociate. Passano i minuti e le gocce di sudore sono salate come le lacrime che trattengo.
Poi d’un tratto succede qualcosa, tutti insieme si avvicinano: uno mi regge la bici, altri si mettono a otto mani ad aiutarmi.
«Grazie…» dico unendo le mani come in preghiera, ma neanche così riusciamo a sistemarla. Qualcosa non và. Ma la disperazione totale mi assale quando mi accorgo che anche la ruota posteriore è sgonfia.
Come quando una sassata colpisce uno specchio, mille crepe si diramano sul mio progetto di viaggio. Nessuno capisce l’inglese e io mi sento esplodere a trattenere l’animo chiuso.
Solo gli occhi parlano per me, tristi, sotto l’ombra delle sopracciglia aggrottate.
Le persone che mi hanno aiutato sono vestite eleganti, guardo le loro mani adesso sporche, guardo i loro volti e non solo mi stanno sorridendo, mi fanno anche cenno di seguirli. In due mi portano la bici, uno la ruota, un altro lo zaino, io li seguo col solo caso…
Un biciclettaio! È un uomo scalzo, pelle scura che riluce, incorniciata da una corta barba bianca.
Usando solo le mani nude (e i piedi!) mi sistema la bici.
Grazie… Ma cosa posso offrire a persone che mi hanno raccolto dalla cunetta e rimesso in sella? Apro lo zaino. Non ho nulla… prendo allora il fazzoletto con la frutta e chinando la fronte la porgo con entrambe le mani. Accettano!
Nepal:
Salite… e che salite! E quando chiedo per un letto mi dicono che in paese non ci sono hotel: «O torni indietro di un tratto, o arrivi a Naubuse, 20 km avanti». “Col cavolo che torno indietro.” Ormai il sole rotola dietro i monti, quasi undici ore sulla bici, le buche si nascondono nelle ombre dell’asfalto, arranco dolorosamente per le curve che si impennano. I camion mi sorpassano come saette anche se non superano i 18 km all’ora: la mia velocità è poco superiore al passo. “Al diavolo le salite!” penso a un certo punto. Mi aggrappo a un camion, e in mezz’ora sono in paese, anche se credo di avere ora un braccio più lungo dell’altro…
«Hotel al completo!» scuote la testa un vecchietto… E ora?!
Mediterraneo:
Quante volte in Italia avrò incrociato lo sguardo di un immigrato? Non ricordo di aver mai invitato nessuno a fermarmi per un caffè. Diffidenza per cultura e per educazione, e ripensando a questi giorni avrei da vergognarmi, come se in testa avessi scolpito: “Abbi paura di ciò che è diverso e di ciò che non è conforme all’uso comune”. Sono sbarcato in Africa con le orecchie piene di avvertimenti, di “Attento a…”, perché qua tutti furfanti, perché là meno ricchezza, più delinquenza.
Nel racconto del mio Marocco ho visto hashish farsi “business” per i soldi degli europei. Ho visto muli spingere aratri di legno, scendere sudore su zolle pietrose, giacche eleganti riflettersi in palazzi di vetro e bambini rincorrere pecore e capre. Un po’ di tutto, insomma. E in questo “un po’ di tutto” ho scoperto persone migliori del mio “diffidente buonismo europeo”.
Salite e ancora salite: scalare montagne è una conquista spirituale, riempire occhi e cuore. Il cammino è lento e faticoso eppure…ieri un vecchietto ha accostato l’auto su una cima. L’ho raggiunta con il fiatone e lui là, facendo segno di fermarmi, ha spaccato un’enorme melagrana. Seduti su una rupe abbiamo mangiato quei grani rossi che addolcivano sul respiro dei pendii. Poche parole inciampate in francese per invitarmi a sostare a casa sua. Ringrazio, ma la strada è ancora lunga…