Un libro degli anni settanta, una foto, un’onda, e il deserto.
Tutto è cominciato così, “per caso”, quando Peter dopo aver vissuto per più di quindici anni in Italia aveva deciso di tornare nel suo paese d’origine, l’Australia. Poco prima di partire mi aveva detto: “penso che questo appartenga a te… ”; e mi aveva lasciato uno dei libri fotografici più belli che mi sia capitato di tenere tra le mani. Un libro magico, con foto eccezionali, a maggior ragione se penso che quel libro ha almeno trenta anni. Non ricordo di come lui ne sia venuto in possesso, e sicuramente quella è un’altra storia. Ma dal momento che è arrivato nelle mie mani un pensiero folle, che già era affiorato la prima volta che avevo visto quel posto (sempre in quel libro), quell’onda e il nulla tutt’attorno, ha iniziato sempre più a prendersi possesso della mia mente e della mia anima: dovevo trovare quel posto, e surfare quell’onda! Ma come?
Non è che ogni volta che vedo un’onda perfetta su una rivista o su un libro prendo e parto, e vado alla ricerca di questa o di quella onda: no, non è così, purtroppo; magari potessi permettermelo! Ma stavolta era diverso, io non stavo decidendo un bel niente. Quel posto mi chiamava. Era come se ci fosse un legame tra quell’onda perfetta sperduta da qualche parte in Oceania, e l’onda che ho surfato più di ogni altra in vita mia, nella spiaggia che sento ormai da tempo casa, nell’isola in cui ho deciso di vivere. Uno stretto legame, una certa somiglianza nello scenario, e la luna nella stessa posizione in cui l’avevo ammirata un’infinità di volte, proprio nella “Spiaggia dei Miei Sogni” …
Poteva essere la stessa luna anche se dall’altra parte del mondo?! Avevo un solo modo per scoprirlo, trovare quel posto, e capire che cos’è che mi spingeva a attraversare l’emisfero per cercare “qualcosa” che alla fine non sapevo neanche se esisteva.
Quel pensiero era rimasto addormentato dentro me per un po’… poi, quando ormai non ci stavo quasi più pensando, mi è capitato uno di quegli incontri che influenzano le sorti del mio destino. Così durante una delle sue venute in Italia avevo avuto l’onore e il piacere di conoscere Gary Elkerton. Una leggenda del surf australiano, e guarda caso uno dei primi spedizionieri-surfisti alla ricerca di quel posto. Me lo ricordavo, era l’unico che conoscevo del gruppetto che aveva partecipato a quella missione esplorativa negli anni ‘70. E così dopo avere passato diverse ore assieme, e sorseggiato diverse birre, mi sono deciso a sparargli lì, così a bruciapelo, la domanda che non poteva più restare celata dentro me: “Gary what about the Desert Valley?!” – “Gary che mi dici della Valle nel Deserto?!” ovviamente quello che ho usato non è il nome del luogo nel il suo soprannome, ma quello che ho pronunciato a Elko quella sera ha fatto l’effetto di una cannonata su un mucchio di terra! In un primo momento, ha continuato a parlare d’altro come se niente fosse. Ma io mi ero accorto che l’espressione del suo viso era decisamente cambiata. Così per cancellare ogni dubbio, ho riformulato la mia domanda: “Gary cosa mi dici della Valle nel Deserto?!” So per certo cosa gli passasse per la testa in quel momento “come fa questo a sapere di quel posto?! Uno, perché è italiano; due perché ci siamo ripromessi di non parlarne più; tre, è impossibile che sappia qualcosa; quattro, com’è possibile?! – forse ho capito male?! – ho bevuto troppo?!” E dopo, una lunga pausa, uno sguardo intenso, ci siamo fissati negli occhi a lungo e ancora silenzio. Un sorso di birra, e poi si è portato l’indice in verticale tra naso e bocca… e mi ha sussurrato: “sssshhhhh…” – “quel luogo non esiste!” – “è una leggenda!”; e così che mi sono deciso a partire!
Non ho insistito, non avrebbe avuto senso, ma non ho più smesso di pensarci e anche se mi stavo occupando d’altro, stavo piano, piano, covando questa irresistibile voglia di andare.
Non è stato facile, ma dopo mille peripezie tutto si è messo in modo che potessi finalmente partire.
Per dove?! Per l’Australia naturalmente! Con la scusa di scrivere il secondo libro.
E così, essendo arrivati in ritardo per ritirare i biglietti alla Malaysia Airlines a due anni da quell’incontro, abbiamo iniziato il nostro viaggio con un “s-piacevole” imprevisto e ci siamo ritrovati io, Bebo (surfista nonché ex incursore della Marina)e Paolo (anche lui surfista e fotografo ufficiale della spedizione) a bordo di Zikipaki una barca a vela degli anni 70’. I nostri amici:Gaetano il Capitano, Ale il Filibustiere, e Annie l’Autiere, erano lì con noi a festeggiare la partenza per questa impresa.
Questo è importante perché il nostro spirito di adattamento è stato richiesto ancora prima di imbarcarci su quell’aereo, e così è iniziato il vero viaggio.
Vi assicuro che ce ne sono poi successe di tutti i colori, e a quattro giorni dal nostro arrivo in Australia io ero già fuori combattimento, due mesi di convalescenza per un incidente in acqua il quarto al giorno dall’arrivo. Mi sono quasi tranciato il tendine d’Achille con una pinnetta della mia tavola, ma questo, e quello che ci è capitato dopo sarebbe troppo lungo per raccontarlo in queste poche righe.
Dopo la permanenza forzata a Sydney però, che è sicuramente servita a Bebo e Paolo per ambientarsi, e a me per ripassare un paio di lezioni sulla mia pelle, siamo finalmente riusciti a metterci in viaggio. Siamo tornati on the road. Abbiamo comprato un furgone, che abbiamo poi battezzato Orange (anche se era bianco) ed è iniziata così la nostra ricerca.
Abbiamo lavorato, lavorato nelle fattorie, raccolto mandarini, potato vigneti, ulivi; fatto i cowboys con i fuoristrada. Abbiamo visto l’Australia che volevamo scoprire, e abbiamo fatto un viaggio attraverso delle persone speciali, persone che ci hanno indicato il nostro cammino al momento giusto. Abbiamo cucinato per molti degli amici che abbiamo acquisito in questo lungo viaggio durato sette mesi. Siamo andati a nord, poi a sud, poi di nuovo a nord e poi ancora a sud. Poi a ovest, poi a nord e poi a sud. Durante il viaggio abbiamo venduto Orange per comprare poi un mezzo più adatto alla nostra ricerca e così dopo aver lavorato duro, per settimane, dall’alba al tramonto, alla pioggia, e al caldo infernale di alcuni giorni, con le mani distrutte e la schiena a pezzi, ci siamo potuti permettere di acquistare la “Green Beast”. Un carro-armato del ’74, e dopo averlo attrezzato per la sopravvivenza, fatto scorta di acqua, cibo e benzina, siamo partiti per il viaggio nel viaggio: la vera Ricerca. Per quasi tre mesi abbiamo esplorato, baie e deserti, guidato sulla sabbia, sulla roccia, nel fango, a giorni dalla città più vicina e alla scoperta di quel luogo magico ne abbiamo trovati altrettanti belli e incontaminati… le piste di sabbia erano le nostre autostrade. Ci siamo accampati nei posti più impensabili per trovare un riparo da vento, che per troppo tempo ci ha messo a dura prova. Abbiamo pescato e onorato il pesce sul fuoco che scaldava le nostre notti. Ci siamo procurati il cibo con le nostre mani, e abbiamo continuato a viaggiare. Abbiamo fatto altri incontri speciali e trovato onde solitarie da sogno. Abbiamo nuotato per ore, solo noi tre, tra la barriera corallina, nel più grande e spettacolare acquario che ci sia mai stato offerto di ammirare. Abbiamo incontrato quasi tutti gli animali velenosi e terrificanti per cui viene forzatamente catalogata l’Australia, ma ne eravamo amici e abbiamo rispettato il loro territorio. Abbiamo visto due “taipan”, il famigerato Tiger Brown, un huntsman peloso che ha dormito una notte con noi, un paio di red back (ragni entrambi), qualche squaletto, ma anche delfini con cui abbiamo condiviso le onde, è stato sensazionale; poi emu (lo struzzo australiano), canguri quanti non ne avevo mai visti neanche nel primo viaggio; e ancora koala, blu tongue (lucertola dalla lingua blu) e tutta la fauna che neanche il miglior documentario era riuscito a farci vedere. E poi le balene, uno spettacolo della natura! Quante volte le abbiamo seguite con lo sguardo o con la macchina per provare a immortalarle…
È stata una grande avventura, indimenticabile che ha legato i destini di tre amici! Forse la storia più incredibile è proprio questa; la storia di una convivenza durata sette lunghi mesi: mangiare, dormire, lavorare, surfare, viaggiare, sempre assieme. Sì, ci sono stati degli alti e dei bassi, ma chi viaggia lo sa è difficile stare assieme per qualche mese figuriamoci per così tanto tempo. Noi ci siamo riusciti. Abbiamo creato un legame speciale, eravamo una persona sola, e siamo stati accettati ovunque. Abbiamo instaurato uno splendido rapporto con la gente del posto, e non volevano più farci andare via, ma avevamo una missione e dovevamo portarla a termine.
Alla fine ho realizzato che, anche se forse ne ero già consapevole, che non era importante trovare quel luogo, quanto cercarlo. Sì perché all’inseguimento di quella leggenda ne abbiamo trovata un’altra la nostra. Abbiamo scoperto onde perfette e solitarie… e visto posti veramente lontani dal mondo. Potrei dirvi se quel luogo l’abbiamo trovato o no, ma non è così importante, o forse lo è, ma è un segreto! E io so mantenere i segreti, “ma allora Winki che ci dici di quel luogo magico?! – esiste o no?!” Una lunga pausa… un sorso di birra, e poi: “sssshhhhh… – quel posto non esiste… – è una leggenda!”
…and the Search never ends.
Thanks to:
Ci tengo particormente a ringraziare Rip Curl, Cathay Pacific Airlines e Surfcamp.it che hanno reso possibile la realizzazione del viaggio ma soprattutto le persone che hanno creduto in quello che abbiamo fatto. Quindi un grazie di cuore a Jurij Roncan, Luca Cortinovis e Riccardo Calderoni, a Aristide Maina, a Luciano Cardone. Winki
Testo: Winki
Foto: Winki e Paolo Cireddu
Surfers: Winki, Bebo Pulisci