Bill Webb
Sono passati oramai diversi mesi e, come promesso, eccomi a scrivere del viaggio in compagnia di Bill Webb e Josh Whiteland attraverso un parte della nostra penisola.
Lasciato l’aeroporto di Malpensa, abbiamo avuto giusto il tempo di ritirare nuove copie della “Baia della Luna” dal mio editore per poi ripartire alla volta di Piacenza dove ci aspettava l’auto che ci avrebbe accompagnati lungo la nostra avventura. Così in compagnia di Loredana, una cara amica nonché persona di forte spiritualità, ci siamo diretti verso sud scappando dalle tenaglie del traffico milanese. Loredana si era già offerta di accompagnarmi all’aeroporto per due motivi: il primo perché non mi avevano consegnato la macchina (solo grazie al supporto di Roberto e Cristina della Renault abbiamo poi trovato la soluzione di Piacenza). Il secondo – e più importante – era che ci teneva ad accogliere e incontrare Bill personalmente. Da qualche anno erano infatti in contatto “telepatico” ed epistolare.
Devo precisare che spesso ricevo messaggi o lettere da Loredana in una lingua che dovrei conoscere, trattandosi dell’italiano, ma che a volte faccio fatica a tradurre per via dei contenuti non sempre decifrabili e di discorsi che vanno oltre la mia comprensione.
In poche parole Loredana è legata affettivamente e spiritualmente ai Nativi Americani ed era entrata in contatto con Bill che rappresenta invece i Nativi Aborigeni Australiani del Sud Ovest.
Non è la prima volta che mi imbatto in relazioni ancestrali tra questi due popoli apparentemente molto distanti ma spiritualmente molto vicini, con una visione molto simile della Madre Terra. E se volete saperne di più Harvey Arden in “Custodi del Sogno” (trovate la recensione nella sezione “libri consigliati”) narra della sua esperienza in Australia alla ricerca appunto di tali similitudini.
Il nostro viaggio è quindi cominciato con questo incontro singolare. Loredana che non parla una parola di inglese e Bill che non ne parla una di italiano hanno cominciato a comunicare tra di loro anche quando io, per varie ragioni pratiche, non potevo fare da traduttore.
In compagnia di Loredana abbiamo raggiunto Piacenza per ritirare la nuova Renault Mégane SporTour SW che ci aspettava. Quando Roberto di Renault Italia si era detto interessato al progetto, assicurando che ci avrebbe supportato mettendoci a disposizione un mezzo, l’idea era quella di utilizzare un veicolo a basso impatto ambientale (www.renault-ze.com/home-752.html) giusto per restare coerenti con presupposto del nostro viaggio: promuovere l’incontro tra due differenti culture ma anche parlare di natura, ecologia e sostenibilità ambientale.
Aspetti che, tra l’altro, sono davvero parte integrante della cultura e dello stile di vita dei miei due amici aborigeni. Infatti Bill, oltre essere il leader della tribù dei Wardandi del South West Australia, dirige il Wardan Center, un centro culturale aborigeno dove lavora anche Josh e dove svolgono varie attività. Oltre ad ospitare un museo sulla storia e sulla cultura aborigena del Sud Ovest, nel centro vengono organizzati incontri rivolti alle scuole o ai turisti per parlare di cultura aborigena e storia. Un modo per far conoscere le tradizioni, la spiritualità e gli usi dei Wardandi che hanno come filo comune il rispetto per la natura e la capacità di vivere in simbiosi con essa – cosa che loro fanno da più di 40 mila anni.
L’intento del centro, e quindi degli eredi della tribù Wardan, è di tramandare questa conoscenza alle generazioni future – bianche o aborigene che siano – per il bene del pianeta e delle persone stesse.


In questi anni trascorsi in Australia, in loro compagnia e alla ricerca delle verità su queste tribù, mi sono reso conto che si sa ben poco degli aborigeni e di quello che rappresentano. Oltre ad essere persone come noi, quindi comuni con i loro pregi e difetti, sono custodi di una conoscenza in tema di sostenibilità ambientale che può diventare esempio per cercare di migliorare lo stile di vita cambiando la nostra visione da uomini “padroni” della Terra a quella di uomini suoi figli. Perché solo imparando ad accudirla e a raccoglierne i frutti seguendo le sue stagioni, capendone ritmi e segreti, si può trasformare la “nostra” società consumistica in società sostenibile.
Sono convinto che il popolo aborigeno, come molti altri nativi del globo, sia in grado di sensibilizzare e farci riflettere sull’argomento. Certo, non voglio dire che bisognerebbe tornare a vivere tutti allo stato brado, ma integrare culture diverse, rispettarsi a vicenda senza per forza soggiogare chi viene ritenuto “inferiore” quando forse è giunto il momento di guardarsi dentro, e attuare una grossa presa di coscienza aumentando la Consapevolezza per il nostro bene, quello delle generazioni future e quindi del Pianeta.
Questa “piccola” parentesi era giusto per chiarire che mi trovavo a viaggiare con due “personaggi” non comuni. Oltre a questa “immane” conoscenza e questo peso di poter fare qualcosa per il futuro, i miei due amici portano con sé una discreta dose di senso dell’umorismo.
Da Piacenza, dopo aver salutato Loredana con la promessa di rivederla pochi giorni più tardi al DidjinOz festival a Forlimpopoli, ci siamo diretti con il nostro nuovo mezzo verso una destinazione inaspettata: la valle del Trebbia. A consigliarcelo era stato Giappa del FreeLife di Fidenza. Al telefono gli avevo fatto presente la nostra esigenza di trovare un posto in mezzo alla natura dove ristorarci e rigenerarci prima dell’incontro a cena con lui e i suoi amici quella sera. Avevamo già accusato i sintomi della città: traffico, inquinamento, rumore, e avevamo bisogno di tranquillità, silenzi e natura. Quello che abbiamo trovato era ben oltre le loro aspettative e – sinceramente -anche le mie.
A bordo della Mégane Eco Diesel a basso consumo (alla fine ci era stata assegnata questa), nonostante l’equipaggio fosse solitamente abituato a spostarsi in Australia seguendo il proprio istinto e i segnali della natura, in questo caso ci siamo fatti aiutare da un navigatore satellitare che – se devo essere sincero – ci ha davvero semplificato la vita.
La prima sosta l’abbiamo fatta dopo qualche decina di chilometri risalendo il fiume Trebbia. Abbiamo seguito una strada sterrata (qui il navigatore lo abbiamo spento) e, attraversando campi e zone alberate, abbiamo raggiunto la sponda del fiume. Prima di qualsiasi considerazione ci siamo tuffati nell’acqua fresca e verde chiara. Tutta la calura, tutte le ore passate alla guida, il traffico e la confusione si sono disciolti nell’acqua assieme ai nostri pensieri…
Siamo rimasti un bel po’ a mollo, poi Bill è andato in esplorazione lungo il fiume e Josh è rimasto in contemplazione sopra un masso. Io sono restato a mollo facendomi trasportare dalla leggera corrente: mi faceva davvero strano nuotare nell’acqua dolce e la sensazione che mi produceva sulla labbra e nel naso abituato a sguazzare di solito nell’acqua salata. Un posto davvero bello con una spiaggia di sassi e sabbia di fiume (per forza, eravamo al fiume!), con solo un altro paio di ospiti oltre noi. Ci siamo sentiti fortunati.
E dopo aver raccolto alcune pietre e legni, Bill ha iniziato a narrarmi una parte della storia del posto come se l’avesse studiata da bambino. Incredibile!
Devo dire che la sosta è stata provvidenziale, sia per rigenerarci che per sopperire ai materiali che avrebbero dovuto utilizzare domenica al workshop sugli strumenti tradizionali aborigeni. L’attrezzatura gli era stata confiscata prima della partenza a Perth, alla dogana, per via delle famose limitazioni australiane…. Niente paura: Bill e Josh come due segugi in un quarto d’ora hanno trovato tutto il necessario in materiali molto simili dall’altra parte del globo.
Una volta asciugati al sole, siamo risaliti in macchina per continuare la nostra esplorazione oltre Bobbio…
Siamo poi entrati in un’altra vallata. Alla guida osservavo Bill e Josh incantati e rapiti dal paesaggio: forse era una visione un po’ diversa del loro immaginario di Italia e sicuramente lontana da quella del loro arrivo e delle prime centinaia di chilometri percorse in autostrada.
Di nuovo abbiamo abbandonato l’auto al bordo della strada per scendere lungo un sentiero e raggiungere un corso d’acqua che avevamo scorto dall’alto. Io e Bill a piedi scalzi, Josh con le infradito (lui è un po’ meno aborigeno di noi, lo prendo in giro), abbiamo trovato la strada verso il letto del fiume. Qui ci si è aperta la visione su un angolo di Paradiso.
Sembrava di essere scesi dentro un fiordo. Il letto del fiume, per tre quarti in secca, ospitava comunque un torrente che, nel punto esatto in cui ci trovavamo, esprimeva la sua bellezza e potenza in una rapida dopo aver rallentato la sua corsa e immagazzinato forza in una specie di diga naturale.
L’acqua verde-turchese, cristallina, le pareti a strapiombo in cui serpeggiava il corso d’acqua, il manto verde dei boschi che ci circondavano e adornavo i monti: la tentazione era troppo forte e ci siamo tuffati per un altro bagno. Questa volta giocando con la piccola rapida: mi tuffavo facendomi sputare qualche decina di metri più in basso. Josh se la rideva. Bill raccoglieva pietre dal letto in secca e le osservava. Siamo rimasti lì in meditazione e ci siamo scordati del tempo.
Eravamo attesi a Fidenza per la cena, così abbiamo ripreso la via del ritorno facendo sosta in un piccolo borgo antico qualche decina di chilometri prima di Bobbio.
La cena con il Giappa e gli amici di Fidenza alla trattoria di Maurizio di Santa Margherita per me è oramai un must. Ci andiamo tutte le volte che mi ritrovo a passare di là. I miei due amici australiani, svariate volte hanno fatto apprezzamenti sul cibo, la compagnia e naturalmente il buon vino della casa. Ci hanno fatto ridere dicendo che pensavano fosse un banchetto di un matrimonio più che una normale cena. E non c’è niente di meglio della compagnia di buoni amici per finire il primo giorno “dall’altra parte del mondo”, per loro; e per me – che non so più qual è “l’altra parte” – nel mio ruolo di accompagnatore, guida, interprete ma soprattutto amico ;)… che cena ragazzi!